Tutto nasce dalla deliberazione n. 20/2019 delle Sezioni riunite, la quale, pronunciandosi sulla questione di massima sollevata dalla Sezione regionale di controllo per il Trentino Alto Adige/Südtirol con la deliberazione n. 52/2019 - ha dichiarato tuttora parzialmente vigente la disciplina vincolistica dettata dalla L. 243/2012. Quest'ultima ha imposto a regioni, città metropolitane, province e comuni il conseguimento di un saldo pari o superiore a zero fra entrate e spese finali. Fra le voci rilevanti ai fini del conseguimento dell'equilibrio, non rientravano né l'avanzo di amministrazione né le accensioni di prestiti (oltre alle relative quote di rimborso capitale). Sul punto, è però intervenuta la Corte costituzionale con una serie di sentenze (a partire dalla n. 247/2017) che di fatto hanno smantellato l'architettura del pareggio, censurando le limitazioni imposte dalla legge n. 243/2012 all'utilizzo dell'avanzo. Nulla, invece, è stato detto da parte dei giudici costituzionali rispetto al debito. Dopo alcune iniziali oscillazioni, il legislatore (con la L. 145/2018) ha cancellato del tutto il meccanismo, stabilendo che gli enti si considerano in equilibrio sulla base dei soli saldi previsti dal D. Lgs. 118/2011. In tal modo, è stata riconosciuta piena rilevanza anche al debito, oltre che all'avanzo, andando oltre il giudicato costituzionale. Il problema è che la L. n. 243/2012 è una legge "rinforzata", non modificabile dalla L, 145. Da qui, il dubbio dei giudici contabili trentini, cui le Sezioni riunite hanno risposto enunciando il seguente principio: "gli enti territoriali hanno l'obbligo di rispettare l'equilibrio sancito dall'art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge n. 243/2012, anche quale presupposto per la legittima contrazione di indebitamento finalizzato a investimenti (art. 10, comma 3, legge n. 243/2012), da interpretare secondo i principi di diritto enucleati dalla Corte costituzionale, fermo rimanendo anche l'obbligo degli stessi enti territoriali di rispetto degli equilibri finanziari complessivi prescritti dall'ordinamento contabile di riferimento e delle altre norme di finanza pubblica che pongono limiti, qualitativi o quantitativi, all'accensione di mutui o al ricorso ad altre forme di indebitamento". In pratica, secondo i giudici contabili, il pareggio sembra sopravvivere, sia pure in versione riveduta e corretta, ossia come obbligo di conseguire un saldo non negativo fra entrate finali (primi 5 titoli) maggiorate di avanzo e (si ritiene) fondo pluriennale vincolato, da un lato, e spese finali (primi 2 titoli) dall'altro. Tale vincolo si affianca (senza essere sostituito) da quelli previsti dalla L. 145/2018 e recentemente rinforzati dall'undicesimo correttivo al D. Lgs. 118/2011 (D.M. 1 agosto 2019). Sul punto, però arrivano orano le precisazioni della Rgs, con la circolare n. 5/2020, secondo cui il doppio vincolo si pone solo a livello di comparto regionale e nazionale e non per i singoli enti, che quindi possono limitarsi a rispettare il dlgs 118/2011. Tocca al Mef vigilare, sia ex ante che ex post, che non vi siano sforamenti e, in caso contrario, promuovere le misure correttive. Non solo: la verifica ex ante è già stata operata per il biennio 2020-2021, per cui chi ha previsto di accendere nuovi prestiti può senz'altro procedere.
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